I droni della guerra post-eroica

Il Dipartimento di Stato degli USA ha voluto contribuire alla festa dei militaristi italiani del 4 novembre facendo uscire, tramite l’agenzia Reuters, la notizia della imminente vendita di droni armati all’Italia.

I nostri amabili alleati d’oltreoceano, già dal 2009, avevano autorizzato la vendita all’Italia dei grandi droni MQ-9 Reaper. E infatti l’Italia ne possiede da tempo due, ma senza poterli armare, poiché l’amico americano non si fidava troppo del bellimbusto italiano, e di nessun altro tranne che dei fedelissimi inglesi, i quali possiedono tali droni armati già dal 2007.

Ma ora questo privilegio l’avranno anche gli italiani: si devono solo aspettare quelle spiacevoli pratiche burocratiche, previste da una democrazia liberale formale, che, nella fattispecie, riguardano il via libera che dovrà dare il Congresso USA. Ma nessuno pensa che il Congresso si opporrà a una richiesta del Dipartimento di Stato fondata sull’ottimo giudizio che i gruppi di potere statunitensi stanno dando da tempo dell’Italia come alleato sicuro e fedele.

E finalmente il governo statunitense ha soddisfatto i desideri degli italiani che ardevano d’amore insoddisfatto per le armi da montare sui droni fin dal lontano 2012.

Restando alla fonte originaria della notizia (il pezzo dell’agenzia Reuters) veniamo a sapere che ora gli USA venderanno all’Italia (non regalano, si fanno dare soldi) i seguenti armamenti per i due droni posseduti: 156 missili AGM-114R2 Hellfire II costruiti da Lockheed Martin (chi si rivede!), 20 bombe GBU-12 a guida laser, 30 munizionamenti GBU-38. Un piccolo corredo mortifero e utile a partecipare attivamente a missioni di guerra qua e là nel mondo., magari, già a partire dalle prossime settimane, nella guerra contro ISIS per la quale fino ad oggi gli italiani avevano dato solo un contributo limitato a voli di ricognizione.

Le notizie su questo gentile “regalo” amerikano le conosciamo dagli articoli di giornale della scorsa settimana. Quindi, fin qui, non si è scritto niente di nuovo.

Possiamo però fare alcune considerazioni di carattere politico e strategico- militare.

La prima osservazione riguarda l’assimilazione dell’Italia ai fedeli alleati britannici. Forse una gratificazione eccessiva, visto il contributo militare non sempre eccellente che l’Italia ha dato alle missioni NATO e alle altre in collegamento con gli USA, ma comunque il segno dell’intenzione esplicita di coinvolgere ancor di più l’Italia in missioni di guerra imminenti e futuribili. Inoltre, dal punto di vista politico, si tratta anche di un tentativo di indicare all’opinione pubblica mondiale, e alle cancellerie dei vari Stati alleati e nemici, che il governo italiano gode della piena fiducia di quello statunitense, che l’Italia è un Paese fedele, che non ci sono dubbi sulle scelte di campo dell’Italia che sta comodamente dentro la NATO e aderisce con convinzione alle iniziative belliche attuate allo scopo di mantenere un controllo accettabile dei territori e delle risorse essenziali.

La seconda osservazione riguarda i modi di condurre le guerre nel mondo contemporaneo. Alcuni hanno parlato di guerre asimmetriche, altri di guerre post-eroiche. Con il primo concetto si fa riferimento allo squilibrio tecnologico tra combattenti di parti avverse: l’esempio più evidente si può riscontrare nella differenza enorme di mezzi esistente tra la coalizione guidata da USA e NATO in Afghanistan e le truppe guerrigliere talebane (individuate per comodità con questo termine impreciso). Sembrerebbe che chi si trova in una situazione di enorme vantaggio tecnico e strategico non potrebbe che vincere a mani basse; invece le cose non sono sempre così semplici. Anche le forze armate più potenti possono a volte incontrare una resistenza imprevista e subire rovesci, magari temporanei, ma comunque molto dolorosi. E ciò dalla notte dei tempi: anche l’energumeno più violento vivente nel paleolitico aveva bisogno di dormire, sicché, nel corso del suo sonno, il deboluccio, malformato fisicamente, vessato dal superuomo primitivo, dotandosi di un bel pietrone di un paio di chili di peso, avrebbe potuto fracassare la testa di colui che si credeva tanto forte da essere inattaccabile.

Le guerre contemporanee asimmetriche a volte sono anche post-eroiche: in questo senso entrano in gioco i droni, che volano sul territorio nemico, scovano il loro obiettivo, lanciano razzi o bombe, uccidono quasi agevolmente, senza che il manovratore del drone, che a migliaia di chilometri di distanza schiaccia pulsanti e muove il suo joystick, corra il benché minimo rischio di essere ucciso, se non dall’eccesso di colesterolo presente nelle sue arterie di occidentale super alimentato.

Del resto, di guerra post-eroica si può parlare anche quando si mette una bomba in una piazza o nel bagagliaio di un aereo: si punta a uccidere senza accettare lo scontro, senza correre il rischio che la potenziale vittima, combattente o civile che sia, possa reagire e rispondere, magari uccidendo chi l’attacca.

È proprio a proposito dell’azione dei droni che recentemente si sono sollevate discussioni giuridiche e morali, che riaprono problemi che sembravano chiusi per sempre grazie al concetto, condiviso dai più in Occidente, di “guerra umanitaria” o di “guerra per la pace” (come se mai in passato si fossero dichiarate “guerre per la guerra”). Di fronte alla possibilità di uccidere a distanza civili inermi, certo per errore (per carità), si risolleva il problema dei limiti da rispettare in azioni di battaglia. Di fronte al rischio quasi nullo, già vissuto dai piloti di cacciabombardieri d’alta quota e al rischio nullo dei manovratori di droni, si pone il problema etico riguardo al fatto se sia giusto combattere come un gatto che afferra il topo per la coda e lo tortura senza possibilità di ricevere ritorsioni dalla sua vittima. Un ragionamento interessante che, con il suo spessore morale, serve anche a consolidare il senso di superiorità degli Occidentali che combattono e massacrano, ma che si pongono sempre il problema se sia giusto farlo e se sia giusto farlo in quel modo (e magari poi ci fanno anche un film milionario ad Hollywood).

Qualcuno dei tradizionalisti di destra, antiamerikani per spirito reazionario, riesce magari a deprecare le azioni dell’aviazione più forte del mondo richiamando alla memoria la nobile arte della guerra dei cavalieri alto-medievali. Certo: il nobile cavaliere con pesante armatura sul suo cavallo bardato di tutto punto andava incontro al suo nemico parimenti attrezzato e pronto alla pugna; e quindi si trattava di lotta leale, alla pari, onesta, un vero fair play; e però spesso il pesante cavaliere armato finiva magari nel bel mezzo di un villaggio di contadini straccioni, malnutriti, attrezzati solo con qualche bastone di nocciolo: ecco, in che cosa l’azione di questo robocop del passato, limpido e cristiano che fosse, poteva differire, in cotale contesto asimmetrico, dall’azione di un cacciabombardiere ipertecnologico o di un drone pilotato a distanza? Davvero poca era la differenza; ci preme sottolinearlo allo scopo di evidenziare che gli esseri umani in armi hanno sempre ricercato lo strumento d’uccisione perfetto, la condotta di guerra, la strategia e la tattica ottime, cioè in grado di permettere di vincere la battaglia senza esporsi a troppi rischi per la propria vita. Si tratta di una costante, di cui la comparsa dei droni assassini è solo l’ultimo perfezionamento tecnico prodotto dall’animale dotato di circa cento miliardi di neuroni cerebrali.

Il vecchio saggio veterotestamentario potrebbe dire: niente di nuovo sotto il sole; e noi potremmo aggiungere: solo un effetto di devastazione e di sterminio più tremendo a causa di una tecnologia potenziata.


Dom Argiropulo di Zab.

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